CERIMONIALE E PROTOCOLLO A EXPO 2015


L'area di Expo è stata - mediaticamente e protocollarmente - la più esposta del pianeta nel 2015. Chi si è trovato a gestirne gli eventi ha spesso dovuto fare di necessità virtù, conciliando abitudini cerimoniali diversissime tra loro. Non esiste, un protocollo condiviso delle esposizioni universali (né probabilmente sarà mai scritto), ma la memoria di qualche episodio milanese potrebbe risultare utile per la prossima.

1) Tecnologia non cooperativa. Durante la visita del presidente del Kazakistan, Renzi e Nazarbaev - prima di venire provvidenzialmente liberati dai vigili del fuoco - si trovano costretti a proseguire il bilaterale incastrati in ascensore per 40 minuti. Qualche giorno dopo Angela Merkel stenta ad aggiungere la propria firma digitale alla Carta di Milano a causa di un tablet capriccioso. Renzi, ironicamente rivolto agli addetti ai lavori: “Vorremo mica fare come col Kazakistan?” (la questione è stata poi risolta a cena: la Cancelliera ha firmato "materialmente" fra un primo e un secondo). Morale: la tecnologia va benissimo, ma ascensoristi, esperti di computer e quant'altro devono sempre trovarsi a portata di mano.

2) Sorprese in casa. Per l'arrivo di Putin i capi di cerimoniale e sicurezza pianificano ogni dettaglio con un anticipo di varie settimane. Ma i Russi cambiano tutto all’ultimo minuto, dimostrando di conoscere talmente bene gli spazi di Expo da essere in grado di sfruttare passaggi e porte quasi sconosciute agli stessi padroni di casa. Con il senno di poi, peraltro, la scelta di far salire a piedi quattro piani di scale all'illustre ospite è sembrata frutto di un’analisi (riservata) della "sua" sicurezza sugli impianti degli ascensori. Morale: dei potentissimi diffidenti è quasi impossibile prevedere i passi.

3) Basso profilo. Per “non disturbare” il Governatore della Banca d'Italia chiede di fare la fila  in qualche padiglione senza usufruire della “fast track” garantita alle autorità (nel comprensibile entusiasmo degli uomini della scorta). Analogamente, per il pranzo Visco suggerisce un panino da consumare sul decumano, seduto su uno sgabello e circondato, come sopra, da migliaia di persone. Entrambe le idee vengono scartate. Morale: chi davvero intende per ragioni di opportunità politica uscire dal tracciato dei comportamenti codificati sia inossidabile alle lamentele dei tecnici.

4. L'ultimo momento (da Giovanni Criscione).  La bandiera del Venezuela conservata in Expo non va bene: ha sette stelle soltanto (secondo un decreto di Chavez del 2006 - mitigato per ragioni di costi da un periodo di tolleranza di 5 anni - le stelle bianche simbolo degli stati originari del Paese avrebbero dovuto diventare otto per rappresentare plasticamente una controversia storica sui territori della Guayana ex britannica). Gli organizzatori si rendono conto del problema solo nel tardo pomeriggio antecedente la giornata nazionale venezuelana. Dove la trovi alle nove di sera una bandiera "giusta" di un metro per un metro e mezzo? Un volonteroso addetto ai lavori, immaginando che tra gli ospiti qualcuno possa averne con sé una dalle otto stelle, si piazza all’ingresso poco dopo l’alba, ed effettivamente, a forza di osservare e chiedere... I due uffici di protocollo si erano accordati per non esporre bandiere (nemmeno quella italiana), ma ancorché all'ultimo minuto, non è stato necessario. Morale: la fortuna aiuta la buona volontà ben spesa.

5) La tirannia dei selfie. Nelle sue molte visite il Presidente del Consiglio è stato chiamato in continuazione da qualcuno tra il pubblico per una foto e, nei limiti del possibile, non si è mai sottratto. In visita con il Presidente della Repubblica Francese al Padiglione dell’Unione Europea Renzi, coinvolto da un gruppo di volontari muniti di apposite "cornici da selfie" per pubblicizzare il Padiglione a dodici stelle, gli si rivolge ad alta voce: “François, vieni a far la foto con me. Selfie europeo della concordia!”. Un passante, indirizzandosi all'ospite, dà voce al proprio spirito patrio: “Ahò, ridàtece la Gioconda!” (dimenticando - come il Peruggia del furto - che fu regolarmente acquistata da un altro Capo di Stato francese, Francesco I, per 4000 ducati d’oro). Morale: se ci si offre alla folla, i vantaggi di immagine comportano qualche piccolo rischio di immagine, e senza adeguate capacità di battuta (che a Renzi non difettano) è facile cadere in imbarazzo.

6) A proposito di battuta pronta. Cameron capita a Expo nei giorni caldi del dibattito sui flussi migratori. Nella sala del “Mondo senza Italia”, Renzi (al fianco del Premier Britannico) si indirizza a un gruppo di anziani in visita chiedendo: “Signori, da dove venite?”. E loro, in coro: “da Torino”. E lui: “Conoscete il Signore di fianco a me?”. Coro di risposta: “Noo”. E lui, di rimando:” È Primo ministro del Regno Unito! Fate tutti ciao!”. “Ciaoo”, salutano i torinesi. E Renzi per concludere: “Regno Unito, siamo qui per parlare di crisi migratorie!”. Morale: simile alla precedente...

7) Le misure sono importanti.  Il trasporto delle Autorità di rango "Capo di Stato o di Governo" è solitamente organizzato ospitando la Personalità di più alto grado nella Maserati di rappresentanza. In occasione della visita del Primo Ministro di un paese arabo l’assetto basso e i sedili fascianti suggeriscono prudenza: se non dovessero consentire un accesso agevole all’importante figura dell'ospite? La decisione (concordata con l'omologo cerimoniale) di optare per una delle numerose Mercedes presenti nelle fila della delegazione mediorientale rappresenta un'eccezione al protocollo consueto, ma evviva e pazienza. Morale: i precedenti vanno gestiti, non subiti, tanto quanto le differenze.

8) Il tè in ginocchio. Nel Padiglione del Regno Unito all’autorità di turno in visita pomeridiana non si è mai mancato di offrire il tradizionale tè. In occasione dell'arrivo della principessa thailandese Sirindhorn i britannici assistono con sereno distacco alla tradizionale applicazione del protocollo thai (i collaboratori della famiglia reale si avvicinano e allontanano tenendo la testa comunque più in basso rispetto alla loro; quando  questi ultimi sono seduti, per comunicare prendere o porgere oggetti praticamente i primi stanno in ginocchio), ma non possono evitarsi stupore per la richiesta - accettata, evidentemente - di intervenire sulla toilette messa a disposizione dell'Altezza reale dotandola di asciugamani, saponi e profumi a lei graditi. Morale: il tempo passa ma le stranezze intorno ai potenti rimangono.

9) Protocollo conto terzi. Con l’inizio del semestre di Presidenza il Lussemburgo (non avendo un proprio Padiglione), si “appoggia” a quello dell’Unione Europea. La cura del cerimoniale per il Granducato ricade fatalmente sul personale U.E., che cerca di far quadrare l’organizzazione delle attività lussemburghesi nelle (limitate) sale a disposizione senza sacrificare quelle delle autorità degli organismi europei. La cosa risulta più difficile a dirsi che a farsi. Morale: risparmiare sugli spazi si può, con poca buona volontà e una piccola riduzione di pretese.

10) I National Days. L'ultima nota riguarda un'abitudine. La ricordiamo perché Expo, tutti i giorni, è stata innanzitutto questo: la celebrazione quotidiana di una Nazione ospite. La data poteva coincidere o meno con la relativa festa nazionale (con 180 giorni a disposizione quelle che ricadevano al di fuori del semestre dovevano essere necessariamente inserite al suo interno), ma il rito era sempre identico: alzabandiera dell’Italia e del Paese di turno, cui facevano seguito i saluti di Giuseppe Sala (per Expo) e della più alta autorità presente per lo Stato estero. Seguiva la parata sul decumano, l’accoglienza a Palazzo Italia e il pranzo di lavoro. Morale: anche nella consapevolezza di dover essere in grado di gestire il disordine, una forma di ritualità ripetuta "aiuta". Eccome.

(Grazie a Gianfranco Giancaterino).

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