IN ORIENTE
16/09/2016
Grande attenzione deve essere prestata ai biglietti da visita, offerti e scambiati con frequenza assai maggiore che da noi: vanno presi con entrambe le mani, guardati attentamente, fatto un cenno di considerazione a chi ce li ha dati e riposti in una tasca della giacca con delicatezza. Quindi si propone il nostro (non averlo è considerato quantomeno bizzarro).
In Corea (del Sud, è chiaro) nelle pubbliche cerimonie a ciascun posto di prima fila eventualmente occupato da un'autorità estera deve corrispondere il piazzamento di una personalità locale di pari grado nell'altra metà, così da ottenere un effetto "speculare" partendo dal corridoio centrale. I saluti con inchino non si contano: perfino prima di prendere la parola dal microfono.
In Giappone invece - che esattamente come nell'immaginario collettivo ha in comune con la Corea l'attenzione agli inchini - all'Autorità principale spetta il posto centrale e una poltrona che rispecchi il suo rango (come quella abolita da Napolitano nel 2014, per capirsi). Sono analogie imperiali.
In Giappone, in Cina e parte dell'Indocina (Vietnam sì, Thailandia no) i tagli del nastro sono curiosamente multipli, anche alla presenza di Autorità elevatissime, e ciascuno se ne porta a casa un pezzetto per buon augurio. In India e Bangladesh taglia la maggiore Personalità, ma tengono il nastro in molti (le due hostess/steward alle estremità ci sono lo stesso, naturalmente).
In Cina la cura del cerimoniale è surreale. Dettagli insignificanti (ai nostri occhi, evidentemente non ai loro) rendono necessarie trattative che possono durare giorni interi, anche perché quasi mai esistono tabelle di riferimento nel confronto fra i livelli delle autorità. La gestione dei convogli automobilistici è spasmodica: quante e quali macchine a chi, e chi siede dove in ciascuna auto. Moltiplicato per dieci, venti, trenta o più vetture, fa impazzire.
In Iran non si inzia alcuna cerimonia pubblica senza che un religioso abbia pronunciato un brano del Corano (di sensibile durata), subito seguito dall'Inno Nazionale. L'inizio del discorso dell'autorità locale è, anche lui, accompagnato da una preghiera, cui fa prontamente eco il pubblico con le relative frasi di risposta.
Nel Golfo Persico la prima fila di autorità ha diritto a comodissimi sofà e poltrone intervallati da tavolini con vassoi di frutta fresca e camerieri in divisa. Nella seconda fila di nuovo poltrone, anche se meno vistose, e solo dalla terza in poi si passa a "semplici" sedie, naturalmente in pelle o imbottite. È l'organizzazione standard dall'Oman fino al Bahrain.
Costume maschile nel Golfo per gli eventi di gala: sotto, il Thoub (tunica bianca lunga e stretta); in testa il Ghotra (cioè una sciarpa quadrata - tipo "kefiah" - fermata dall'Agal, ovvero una "ciambella" di corda rifinita in seta o cotone neri); sopra il Bisht (una veste semitrasparente nera o beige dal bordo rosso e oro della quale può non essere indossata la manica sinistra per lasciare libero il braccio di reggerne il panneggio al centro del petto). Nonostante tanta attenzione ai particolari - dai ricami in oro all’impalpabile consistenza dei tessuti - l’abbinamento inamovibile ai piedi è sempre un paio (sicuramente costosissimo) di sandali. Al più neri.
A proposito di calzature, non stupisca nel mondo musulmano l'utilizzo di mocassini dalle finte stringhe: anche chi strizza l'occhio ai modelli occidentali (tipo Oxford o Derby) non rinuncia alla comodità di poter sfilare comodamente le scarpe entrando in una Moschea.
(Grazie a Gianfranco Giancaterino)