Per un codice di comportamento in Università.
08/10/2007
Sono un giovane professore a contratto in un'università italiana. Da quattro anni insegno e ho l'aspirazione di stabilizzare la mia posizione: ricercatore o professore associato non importa, ma a un lavoro così gratificante non vorrei rinunciare. Non ho doppio cognome e non sono figlio, parente o affine di qualcuno che conta; così risalgo la china solo con le mie forze. E' dura ma ci provo. Da tempo mi sto rendendo conto che esiste un galateo, un "cerimoniale" molto complesso anche all'interno dell'Università. I professori ordinari - molti dei quali notevolmente "permalosi" - non ammettono "scorrettezze formali", anche se provengono da chi si sta facendo le ossa e non conosce i rituali accademici. In altre realtà, come ad esempio quella militare, quando si entra si viene istruiti da quelli più anziani, e addirittura esistono piccoli opuscoli nei quali vengono descritte alcune "regole di comportamento" codificate e accettate. Possibile che in ambito universitario si debba sperimentare tutto sulla propria pelle? Mi spiacerebbe infinitamente distruggere la mia aspirazione ad una carriera universitaria semplicemente per non aver mandato un invito a questo o quel professore.
Risposta
E' vero, è dura per i non "figli di"; non perché chi lo è sia esentato da certe forme, quanto piuttosto perché può contare su una guida sicura. Putroppo, non esiste nulla di codificato in materia. Bisogna muoversi con grande sagacia e buon senso. Chi ha un professore che lo segue è bene chieda sempre a lui, a costo di sembrare un po' "naif". Chi ha commesso degli errori (o perfino ritenga di averlo fatto), può porre rimedio chiedendo scusa con una telefonata o di persona, al limite inviando un biglietto di scuse, magari insieme a un proprio scritto (che il destinatario non leggerà, ma apprezzerà il gesto). Però coraggio, le qualità individuali, anche nel mondo accademico, alla fine vengono riconosciute.