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CHIAMATEMI ONOREVOLE

13 marzo 2018

«Come mi chiamo? Chiamatemi Onorevole». Alessandro Trocino (sul Corriere della Sera di sabato scorso) afferma d'aver ricevuto questa (beffarda) risposta da una neoeletta "elegantissima, con tacchi a spillo", a margine della prima riunione dei parlamentari a cinque stelle in un albergo di Roma. 

Se fosse vero, potrebbe essere una consapevole distrazione o paradossalmente apparire un segno della resilienza delle abitudini. Non avrebbero dovuto chiamarsi "cittadini portavoce"? Il fatto è che cambiar nome alle cose non sempre risulta esercizio agevole, nemmeno alla politica. Perfino ai regimi...

L'appellativo di Onorevole non ha fonte normativa. La pensata risale a una lettera del deputato Pasquale Tola pronunciata in Aula che cominciava così: "Onorevoli deputati". L'espressione venne ripresa poco dopo dal ministro degli Esteri Vincenzo Ricci e dal ministro della Giustizia Federico Sclopis. Accadeva nel maggio del 1848.

Subito il termine venne associato dall'antiparlamentarismo nazionale - spesso insonne e mai sconfitto - a un nonsoché di consociativo e compromissorio, ovvero condannabile in sé. Così nel marzo 1939 (quando più forte era la necessità di identificare il nemico nelle demoplutocrazie, con i loro orpelli rappresentativi) un foglio d'ordini a firma del Segretario del P.N.F. lo abolì: "L'appellativo di onorevole, insieme con il corrispettivo titolo di deputato, deve essere sostituito con la qualifica di consigliere nazionale, gerarchicamente superiore a quello di consigliere provinciale e di consigliere comunale".

Ma appena finito il fascismo, la vecchia abitudine tornò. E tornò "prima di subito", dal momento che, con la Costituzione repubblicana ancora da promulgare, la neo istituita Assemblea Regionale Siciliana, introducendo l'espressione "Deputato regionale", dette modo di chiamare "Onorevoli" gli eletti in quell'Assemblea.

Da allora, chiamarsi semplicemente "Consiglieri" è apparso svilente a molti, e a livello locale non si contano i tentativi di replicare l'esempio della Sicilia: da onorevoli deputati e senatori si è arrivati a onorevoli consiglieri regionali e addirittura, in qualche caso, a onorevoli consiglieri provinciali e comunali (Roma Capitale è recentemente insorta - nel 2016 - di fronte al tentativo di formalizzare l'abolizione del titolo, proposto da Marcello De Vito, del M5S; iniziativa curiosa, almeno sul piano formale, dal momento che nessun atto formale lo aveva introdotto).

Sia detto, scivolandoci sopra, che le assemblee rappresentative degli enti locali non possono chiamarsi Parlamento né i consiglieri eletti possono autodefinirsi Deputati (tranne in Sicilia). Lo ha affermato la Corte Costituzionale in due sentenze del 2002 (nn. 304 e 306), con le quali affrontava il caso della decisione assunta in questo senso dalla Regione Marche nel 2001.

Quando e come dare dell'onorevole, a nostro parere, è scritto qui.

Certo, dell'abuso del titolo non può che dirsi ogni male possibile, ma buttare il bimbo con l'acqua sporca quasi mai serve a qualcosa. E non è un caso se nel nostro quotidiano politico, avvelenato e forse irreversibile, è impopolare perfino ricordare che a far di ogni erba un fascio di solito si lasciano i campi bruciati...

DIO, LA BIBBIA E IL GIURAMENTO DI TRUMP

27 gennaio 2017

Di Massimo Sgrelli.

L’articolo II, sezione  1, 8° comma della Costituzione statunitense recita: “Prima di entrare in carica il Presidente dovrà fare il seguente giuramento o dichiarazione solenne: Giuro (o dichiaro) solennemente che adempirò con lealtà ai doveri di Presidente degli Stati Uniti e col massimo dell’impegno preserverò, proteggerò, e difenderò la Costituzione degli Stati Uniti" La frase Con l’aiuto di Dio è stata aggiunta da Barack Obama (come da altri in passato).

Nonostante il contrasto evidente tra il mondo valoriale del testo e quello auspicato dal neo Presidente, lo scorso 20 gennaio Donald Trump ha giurato anch’egli sulla Bibbia. 

Non è scritto da nessuna parte che il giuramento debba essere prestato sulla Bibbia: Roosevelt  giurò senza alcun testo, Adams su un libro di giurisprudenza che conteneva la costituzione, Lyndon Johnson su un messale cattolico.

Nel secondo giuramento di Obama del 2009, quello formalmente valido (il primo, per il quale era stata scelta la Bibbia di Lincoln, mai riusata fino a quel momento, fu ripetuto per un errore nella lettura della formula), non venne utilizzato alcun testo. All’inizio del secondo mandato, Obama ha giurato sulla Bibbia di famiglia di sua moglie. Ma siccome il 20 gennaio era domenica anche nel 2013 ha dovuto farlo due volte: la cerimonia pubblica sulla terrazza di Capitol Hill si è svolta il giorno successivo addirittura con due bibbie, quella di Lincoln e quella di Martin Luther King.

Alcuni presidenti, nel giurare, hanno lasciato la Bibbia aperta, su vari testi, altri chiusa. Durante la cerimonia può essere impartita una benedizione (con Obama è intervenuto il pastore battista di una chiesa vicina alla Casa Bianca). Il giorno seguente si svolge una cerimonia religiosa, nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo. Il giorno dell’insediamento è considerato festivo nel Distretto della Columbia (sostanzialmente per aumentare la partecipazione alla cerimonia e decongestionare il traffico).

Quali similitudini e quali differenze fra noi e loro?

Una coincidenza è assoluta: i due dettati costituzionali si possono addirittura sovrapporre quando dicono prima di entrare in carica (negli USA) o prima di assumere le sue funzioni (in Italia) il Presidente deve prestare giuramento.

Ma la formula prevista dall’art. 91 "Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la costituzione" si differenzia non poco da quella americana, dove si riscontra una maggiore fattualità, l’impegno ad una azione attiva, mentre la nostra impone piuttosto un’azione astensiva (rispettare e osservare la Costituzione, senza andare oltre). Questo dipende dalla diversa consistenza dei poteri che le due costituzioni attribuiscono ai rispettivi capi di Stato. L’americano è “comandante in capo”, il nostro è “garante”.

Ma la maggiore differenza, limitandoci alla cerimonia del giuramento, è chiaro, la fa la Bibbia.

Da noi sarebbe impossibile giurare su testi religiosi, attesa la laicità dello Stato. Come sono impensabili qualsiasi forma di benedizione della cerimonia da parte di un sacerdote, la celebrazione liturgica del giorno seguente e perfino l’ipotesi di una festività.

I motivi sono storici e culturali. La laicità dello Stato si è affermata, nel quadro civile, soltanto alla caduta degli assolutismi europei: il potere del Re era assunto per volontà di Dio e l’affermazione della laicità cancellava l’idea della divinizzazione regale. Per questo si tratta di un valore sentito in Europa e non in America. D’altronde spesso i coloni partivano perché perseguitati nella madrepatria come adepti di una religione non conformista, e nella nuova terra volevano poterla liberamente praticare.

Di qui una proliferazione di religioni animate da forti rivalità che la Costituzione del 1787 all’articolo 6, e il primo emendamento di quattro anni dopo pur sancendo la libertà di culto non riescono a contenere. Ciò ha generato una stretta contiguità ideologica di ciascun americano con il proprio credo. La netta separazione tra valori politici e religiosi acquisita in Europa negli USA  (dove, come è stato detto, Dio non è trascendente, ma piuttosto un compagno di strada, con il quale più che al futuro e all’aldilà si guarda qui e ora) non avrà mai presa.

Una ragione ulteriore per tutelare la religiosità verrà nel XX secolo: l’avvento del comunismo ateo e materialista, individuato non solo come avversario politico ed economico, ma anche spirituale e morale.

La fede degli statunitensi è alquanto semplificata: la bandiera a stelle e strisce viene esposta nelle chiese e l’iscrizione God sulla banconota da un dollaro incarna una specie di religione civile - somma di quelle individuali non importa quanto variegate - che “sacralizza” a tal punto la propria democrazia da considerarla luce del mondo e degna di esportazione.

Per un cittadino USA poter affermare il proprio credo è una irrinunciabile espressione di libertà. Anche per questo continuano nascere, lì, una quantità sorprendente di sette religiose che saturano gli spazi ideologici laici.

Per questo Trump ha giurato sulla Bibbia. Quale Presidente si sentirebbe, oggi, di eliminarla? In fondo, attribuisce anche una patina di verginità a chi vi si accosta, e soffonde un alone benefico, idoneo a mascherare anche qualche possibile macchia, passata o futura.

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