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IL DIVENIRE DEL COMPORTAMENTO

26 febbraio 2018

E' lecita la cipolla nella carbonara? Si è posto la domanda Massimo Montanari, nella pubblicazione "Il pregiudizio universale" (AA.VV., Laterza, 2017). Che cosa c'entra con il Cerimoniale?  

(Visto che hai usato la cipolla) Dice: fa’ quello che vuoi, ma non chiamarla carbonara. Risponde: ma se la mia ispirazione è stata quella perché dovrei cambiare il nome? Il mio vuol essere un omaggio alla tradizione, che se ci pensi è anche innovazione, perché «tradizione» non è che un’invenzione riuscita particolarmente bene, che molti hanno condiviso e perciò è diventata tradizione. (...) Lo sentiamo dire di continuo: questo si fa così, questo si fa cosà. Il tortellino si riempie così. La tagliatella dev’essere larga tanto, alta tanto e spessa tanto. Perché si è sempre fatto così. E magari si va dal notaio e lo si registra. Un micidiale pregiudizio governa queste idee, queste azioni: che l’origine delle cose sia più importante, più «vera» del loro divenire; che la storia serva a ricercare le origini, per trovarvi il senso del presente e ripulirlo da ogni tradimento o depistaggio. Ma il fatto è che le origini, allo storico, interessano poco; come amava ripetere Marc Bloch, ogni quercia nasce da una ghianda, ma il senso della quercia non sta nella ghianda, bensì nel modo in cui l’ambiente, il clima, il terreno le hanno consentito di crescere. È questa vicenda a interessare lo storico, non il punto da cui essa ha avuto inizio. La cucina è fatta di alcune regole e di molte libertà, quelle che, giorno dopo giorno, danno vita e corpo a un piatto, trasmettendolo dall’una all’altra generazione. Senza dogmi, senza rigidità. La cucina è il luogo della variante e la ricetta è come uno spartito musicale, che si «realizza» solo quando viene interpretato, in modo ogni volta diverso. Se no tanto varrebbe ascoltare un disco – o mangiare cibi industriali, sempre uguali a sé stessi.

Va da sé che lo storico, delle origini, è perfettamente consapevole. Semplicemente, non può affezionarvisi. 

Ogni mese viene pubblicato, in Italia, almeno un libro che tratta di buone maniere. Quasi sempre, uno copia l'altro. Raramente compare un'indicazione "nuova" eppure - nonostante tutti sappiano o credano di sapere che cosa sia un "galateo" - capire se questa rappresenti un'indicazione utile, indispensabile o (addirittura) dannosa, non è così facile.

Un bel saggio di Gabriella Turnaturi, "," Una storia delle buone maniere (Feltrinelli 2011), svela con ironia e rigore di analisi l'incidenza sociologica e il valore storico dei precetti di comportamento, aiutandoci a distinguere (con le nostre gambe) il "giusto" tra necessità rituali, persistenza dei luoghi comuni e riferimenti normativi.

Senza nulla disprezzare, passeggiando tra le indicazioni del "saper vivere" di fine ottocento, del ventennio, del secondo dopoguerra e contemporanee, l'autrice affronta la banalità del reale, finendo per farci leggere ogni precetto con scientifico disincanto.

I galatei, "porto sicuro in cui rifugiarsi (...) quando tutto sembra permesso e quindi tutto diventa impossibile, perché non si sa più come comportarsi", che con le loro norme rassicuranti possono "fungere da ansiolitici", rispecchiano la storia del paese; ciascuno "rimanda a quello precedente e legittima la propria autorità appellandosi all'autorità di un altro manuale di buone maniere. Accade così che si trovino, pur col passare degli anni, norme e modelli come congelati nel tempo".

E ogni genere di Galateo in centocinquant'anni ("del contadino", "popolare", "delle educande", "del giovinetto convittore", "del seminarista", "proposto da un nonno ai suoi nipoti", "europeo", "del matrimonio", "dell'invito", "della tavola", "del III millennio", "del fund raising", "delle signorine", "della fanciulla", "morale e civile") nasce e muore nella paura di derogare a una regola precedente, fino a volerci far credere, nel 2018, che indossare scarpe marroni dopo le ore 18 sia un errore imperdonabile.

Così, con il ricorso mediaticamente ossessivo a "esperti" veri o presunti, la società italiana continua a subire un provincialismo inemendabile, ostinandosi ad ignorare che, mutatis mutandis, "Il saper vivere consiste nel sentire quasi istintivamente, cioè per rapido e inusitato esercizio del buon senso, l'atmosfera in cui siamo capitati e saper subito acclimatarsi. E in un luogo essere affatto alla buona, in un altro tenerci a livello delle più squisite maniere" (Giovanni Rajberti, ahinoi, nel 1851).

Ma l'allergia nazionale al cambiamento non si è limitata (e limita) a sperimentare un'analogia conservatrice in cucina e nelle regole di socialità; in materia di Cerimoniale e Protocollo, infatti, ha se possibile manifestato una virulenza ancora maggiore: dalla "Circolare Andreotti" (venuta in fretta e furia a regolare le precedenze repubblicane orfane della normativa fascista) al DPCM 16 aprile 2008 (che le ha finalmente ordinate) sono dovuti passare quasi sessant'anni...

10 REGOLE DI BONTON IN MONTAGNA

21 luglio 2017

"Chi ama la montagna ne rispetta le regole”. Si tratta di buon senso, è vero. Abbiamo solo fatto un riassunto. 

Scarpe. Vietati sandali, ciabatte, infradito, espadrillas e qualsiasi altra calzatura che non garantisca contenimento della caviglia e aderenza al suolo. Una buona scarpa da trekking o la classica pedula da montagna con suola rigida antiscivolo riducono la possibilità di infortuni (evitando di mettere in moto per futili motivi eventuali soccorritori).

Abbigliamento. Quello giusto è a cipolla. Salendo in quota il clima e la temperatura possono cambiare improvvisamente, con forti escursioni termiche. L’abbigliamento deve proteggere dal freddo e dal vento, favorire l’evaporazione del sudore e, se possibile, asciugarsi velocemente. Da preferire le cose che “pesano” meno e occupano minor spazio, resistenti a strappi o abrasioni. I bikini però no.

Dotazione. Lo zaino ideale somiglia alla borsa di Mary Poppins (preferibilmente dotato di sacco impermeabile che ripari lui stesso in caso di pioggia). Dentro, oltre alle vettovaglie e all’acqua: un cappello, un paio di guanti di lana, un paio di calze e intimo di ricambio, una maglia a maniche lunghe, l’occorrente per il cucito e dello spago, cerotti, nastro adesivo (da metter sopra le vesciche provocate dallo scarpone nuovo), un analgesico e un antipiretico. I bastoncini per camminare? Obbligatori no, ma consigliati eccome.

Sole. La ventilazione mimetizza i primi effetti dei raggi. Invece, è bene proteggersi con creme di fattore adeguato, e nelle ore più calde riparare la testa con un cappello o un fazzoletto.

Bon ton. Nei sentieri non si fanno gare di velocità, non si sgomita, non si spinge. E’ consentito chiedere strada per non perdere il passo, ma senza strillare: "Largo!". Si cammina in fila indiana e chi supera deve impegnare la parte del sentiero più esterna, quella verso la valle, lasciando al riparo nella parte interna chi viene sopravanzato, specie se ci sono bambini.

Telefonino. Va bene, va bene, ve lo potete portare. E perfino controllarlo ogni tanto, fatti vostri se non riuscite a staccare nemmeno camminando più vicini al paradiso. Ma niente suonerie, e niente toni stentorei (quasi provassimo l’eco della valle).

Escursioni. A ciascuno la propria, secondo esperienza e perizia. La montagna non ci trasforma improvvisamente nel Sylvester Stallone di Cliffhanger. Dunque, se non abbiamo mai seguito corsi di roccia e di alpinismo, se i nostri amici al seguito non sono esperti, lasciamo ad altri le vie ferrate e i sentieri attrezzati. Guardando le mappe non dovrebbe essere difficile scegliere un’escursione appropriata alle capacità del gruppo per distanza e dislivello.

Bambini. Può capitare che non abbiano voglia di venirci appresso. Proviamo ad appassionarli offrendogli, lungo il sentiero, una sorta di caccia al tesoro. Chiediamo loro, dopo aver mostrato quello di partenza, di cercare il segnavia successivo per verificare che il numero del sentiero segnato sia quello corretto. In questo modo si sentiranno responsabili, anche per gli adulti, del raggiungimento della meta e procederanno volentieri in avanti. Potrebbe funzionare davvero eh!

Alimentazione. Con l’aumentare dei metri s.l.m. i capogiro sono più frequenti. Sia sempre a portata di mano qualche alimento energetico: cioccolata, frutta secca, zucchero. Bibite che abbiano la capacità di reintegrare la perdita di sali minerali. Al rifugio (purtroppo), meglio un tè caldo e zuccherato che una birra gelata…

Ambiente. Se abbiamo trovato un luogo che ci ha colpito profondamente, lasciamolo intatto. Non portiamoci via nulla se non la gioia d’averlo visto, e non dimentichiamo lassù i resti di quanto abbiamo (o non abbiamo) consumato.

Torniamo a settembre, buona estate...

(Scritto con Francesco Piazza)

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