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ONOREVOLE O PROFESSORE?

31 maggio 2018

Onorevole o Professore: come scrivo? E se poi si offende? Dai, mettici anche dott. prof. "fai vedere che abbondiamo"... Ammettiamolo. E' opinione diffusa che, nel dubbio, sia sempre meglio aggiungerlo, un titolo onorifico o accademico. Fa parte del nostro carattere: meglio uno in più che uno in meno. 

Condividono la convinzione tanto il posteggiatore (venga, Dottò) che la burocrazia: l'appellativo  "Signore" sembra quasi un'offesa, e non pare convincere nessuno la circostanza che in Francia e in Gran Bretagna non si utilizzi - di solito - altro appellativo oltre al Mister e al Monsieur.

Compaiono frequentissimamente a precedere i nomi sulle buste i dott.prof. gli on.pres. i prof.proc. gli on.avv.prof. i comm.prof. e si potrebbe andare avanti parecchio (lup.man. del rag. Fantozzi compreso). Nel dna nazionale è impressa la certezza che l'inchiostro per aggiungere un titolo non possa mai considerarsi sprecato. Invece...

Invece, su una busta sarebbe opportuno menzionare un titolo solo quando "serve" a identificare il ricevente, specialmente se si tratta di un'Autorità, anteponendo al nome soltanto Signor o Signora, posponendo l'occupazione o la carica.

Come comportarsi, dunque? Nel rispetto del comune sentire e ben sapendo quanto sia inutile andare controcorrente se non è indispensabile, vi suggeriamo due soluzioni. 

La PRIMA SOLUZIONE è di maggior coraggio: solo nome e cognome. Angelino Alfano, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, Piazzale della Farnesina 1, 00135 ROMA. Chiara, e rispettosa dell'altissima carica. Che senso avrebbe aggiungere Prof. o Cav.? Un Ministro è investito di un magistero talmente elevato da riassumere e "superare" tutto quello che è stato fino a quel momento...

La SECONDA SOLUZIONE, diciamo così, è di buon compromesso: un solo titolo. Onorevole Angelino Alfano, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, Piazzale della Farnesina 1, 00135 ROMA. A meno che non si sappia esattamente quale tra i propri titoli prediliga la nostra personalità, va preferito il "maggiore", cioè quello che "vale" di più precedenze alla mano.

Ora, è vero che, precedenze alla mano, On. vale più di Prof. ma è altrettanto vero che ci sono fior di Onorevoli che preferiscono il Prof. all'On... Crediamo che ce se ne debba fare una ragione. Come si fa a saperlo? Da chi scrive non si possono pretendere prestazioni da Mago Otelma... 

Ma di soluzioni ce n'è una terza, per quanto contraddica il principio delle prime due. Nel caso che, mettiamo, fosse noto che chi riceverà la lettera "tiene" in modo particolare a essere chiamato tutto insieme "avv./prof./cav.gr.cr." è giusto domandarsi: "Vale la pena di scatenare ire funeste per una questione di lesi titoli?".

Naturalmente la risposta è no.Sprecate pure l'inchiostro allora, facendo vostro questo piccolo pensiero consolatorio: in fondo, dietro ogni laurea ci sono solo pochi anni di studi, mentre a qualcuno per diventare un Signore non è sufficiente tutta la vita.

IL FEMMINILE DELLE PAROLE

16 luglio 2014

"Le resistenze all'uso del genere grammaticale femminile per molti titoli professionali o ruoli istituzionali ricoperti da donne sembrano poggiare su ragioni di tipo linguistico, ma in realtà sono, celatamente, di tipo culturale; mentre le ragioni di chi lo sostiene sono apertamente culturali e, al tempo stesso, fondatamente linguistiche" (Cecilia Robustelli, docente di Linguistica italiana all'Università di Modena e di Reggio Emilia).

La prevalenza linguistica del maschile è un ostacolo sul percorso verso l'uguaglianza (quando in Germania, nell'era Merkel, si parla normalmente di Bundeskanzlerin, Cancelliera; e la Kirchner per tutti in Argentina è la "Presidenta")? Diffidare di "Ingegnera" nasconde una inconscia resistenza all'accettazione della parità di genere?  Un manualetto di Cecilia Robustelli appena pubblicato (Donne, grammatica e media - Suggerimenti per l'uso dell'italiano; INPGI/FNSI), propone una concezione "normativa" del linguaggio.

Il libro afferma la necessità della declinazione al femminile di termini come Sindaco (Sindaca), Prefetto (Prefetta), Avvocato (Avvocata, utilizzato chissà perché nelle preghiere e non nei tribunali) eccetera; non nega le cacofonie, ma le ritiene male minore rispetto al sessismo nascosto nella conservazione di tanti termini in "o" difficili da pronunciare in "a"; e siccome questi neologismi fanno fatica a entrare nel linguaggio comune, per accorciare i tempi della loro metabolizzazione ne raccomanda l'uso da parte dei media.

Ma la pubblicazione - promossa dalla rete delle giornaliste di G.I.U.Li.A. - riguarda gli auspici di una diffusione dell'utilizzo dei termini da parte della stampa e non risolve  - non potrebbe, neanche volendo - il dubbio che si pone sempre più spesso scrivendo l'indirizzo su una busta o l'intestazione di una mail: le parole Ministra e Assessora (che non sono per propria natura "sbagliate", come non sono "giuste" Maestra, Infermiera o Cuoca) devono o possono essere utilizzate nella corrispondenza?

Dovendo scrivere a UNA Sindaco, come è giusto indirizzare la lettera? Senza entrare nel merito ("il Presidente" no, d'accordo, ma è più giusto "la Presidente" o "la Presidenta"? Noi preferiamo la decinazione dell'articolo  - la Prefetto, la Architetto - ma è solo un parere), crediamo che sia opportuno informarsi circa le preferenze dell'interessata, per evitare di chiamare "chirurga" una medico - la medica? - chirurgo, se lei stessa preferisce il maschile usato come "neutro" (tra virgolette, lo sappiamo che il neutro in italiano non esiste...).

Bene, è complicato, ma prima di mandare una busta indirizzata alla Signora Giuseppina Tubi, Sindaca del comune di Topolinia, consigliamo una telefonata alla sua segreteria o a chi ne fa le veci. Se piace mandatela così, sennò, desistete... Tra dieci anni vedremo che sarà successo. Quando un termine, un atteggiamento, un capo di abbigliamento (ahinoi) entra nell'uso collettivo, dopo un po' diventa "giusto" anche se a parere di qualcuno rimarrà sbagliato per sempre.

E' bello che non si mettano più i frac? E che l'uso dei biglietti da visita fuori dal lavoro stia scomparendo? E che quasi più nessuno sappia fare il baciamano e servire in tavola "alla russa"? Forse no, ma il "bon ton", piaccia o non piaccia, è il figlio naturale di un sentire comune dietro al quale, alla fine, passassero cent'anni le società si allineano senza eccezioni. Non fosse così, le infermiere (di chirurghe non ce n'erano), girerebbero ancora con le gonne lunghe.

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Quanto alla grammatica, riportiamo di seguito quasi testualmente, condividendone l'approccio e i contenuti, un commento al citato articolo della Crusca ("inviato da paolam il 19 marzo 2013").

Nei nomi in -o il femminile esce in -a : avvocato/avvocata, impiegato/impiegata; i nomi in -e non cambiano, perché hanno la stessa uscita per il maschile e il femminile: giudice, vigile, insegnante, docente (che in realtà è un participio sostantivato, cioè una forma verbale usata come nominale); oppure hanno acquisito una uscita in -a per il femminile: parrucchiere/parrucchiera, infermiere/infermiera; i nomi con terminazioni di origine greca, come quelli in -sta, -ta, hanno la stessa uscita al maschile e al femminile: pianista, ginnasta, giornalista, pilota, astronauta. I nomi "di agente" di origine latina, come dot-tore, at-tore, diret-tore, revis-ore, profes-sore, al femminile escono in -trice. E solo questo, in alcuni casi fa difficoltà: infatti, se si può dire attrice e se si può dire direttrice, è impossibile per la fonetica della lingua italiana pronunciare la parola professrice, oppure revisrice. In questi casi di incompatibilità fonetica può soccorrere l'uso storico della lingua italiana, che per alcuni nomi maschili in -tore ha creato, per analogia con i nomi in -o/-a, l'uscita in -tora per il femminile, ragione per cui il femminile di fattore era fattora, e non fattrice. E' per questo che è stato proposto di adottare la forma professora al posto di professoressa, cui fa da ostacolo, però, un uso ormai lungamente consolidato. Il femminile di dottore potrebbe benissimo fare dottrice, parola realmente esistente in latino (doctrix) come appellativo, ma anche dottora (sebbene più "volgare" in senso linguistico). AGGIUNGIAMO NOI: dottoressa perché no?

 

 

 

 

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