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IL TAVOLO IMPERIALE, MAFALDA E ADOLFO

21 ottobre 2016

Non capita quasi più di invitare a pranzo o cena tanta gente (di solito peraltro in pubblici locali; a casa gli spazi raramente lo consentono), ma qualche volta succede: matrimoni, feste di famiglia, occasioni conviviali di gruppi. In questi casi il numero e la sistemazione dei tavoli è essenziale, prima ancora della pur importante ma logicamente successiva operazione di assegnazione dei posti. 

1) Con più di 20/24 ospiti è sempre preferibile un buffet (in questa circostanza, avere tavoli d'appoggio con tanti posti quanti sono gli invitati è perfetto); altrimenti, andrebbe scelta una soluzione con tavoli multipli piuttosto che  - non è superfluo ricordarlo perché ci sta chi lo fa - uno solo o, peggio, due "imperiali", ovvero, peggio ancora, un "ferro di cavallo".

2) Volendo proprio far servire a tavola, per allestire una sala con più tavoli ne occorrono di rotondi od ovali. Gli ovali piccoli sono eleganti e comodi, ma difficili da trovare. Si incontrano con maggior frequenza i rotondi, dal diametro di 150-180 centimetri, sui quali vanno da sette a dieci persone. I tavoli tondi possono essere apparecchiati anche in numero dispari, soprattutto se non vengono piazzati.

3) Quanto al piazzamento, se ci sono più tavoli una scelta frequente e comoda è quella di indicare singolarmente i posti solo nel principale - che andrà sistemato preferibilmente al centro della sala - ed evidenziare in uno schema riassuntivo, sistemato all'ingresso o dove verranno serviti gli aperitivi, la distribuzione schematica degli ospiti negli altri tavoli (alternativamente o contestualmente, agli invitati può essere consegnato un bigliettino con indicato il tavolo verso il quale dovranno indirizzarsi, ma non il proprio posto nel tavolo; ciascuno siederà dove crede).

4) Un unico tavolo rettangolare - meglio con i terminali tondi, in modo da poter aggiungere due coperti sui capotavola giocando sul semicerchio - va bene fino a venti persone (oltre le sedici, e con questo accorgimento si può arrivare fino a ventiquattro, funziona meglio un piazzamento all'inglese, con i "padroni di casa" sui lati corti del tavolo). Per ogni coperto dovrebbero essere calcolati 75 centimetri. Attenzione alla larghezza del tavolo: sono ideali i 100/120 centimetri, ma se si superano i 150 per parlarsi tra i due lati occorre il megafono.

5) Non si dovrebbero mai apparecchiare tavoli da una parte sola (né essendo costretti a usare un ferro di cavallo né proponendo un tavolo rettangolare con tavoli di fronte). E' una sistemazione alla quale si ricorreva per mostrare il principe a tutti gli invitati, e non ha più ragione di esistere. Intanto perché risponde alla stessa logica della pubblica distribuzione del pasto ai leoni del bioparco; poi per il fatto che non si ha una seconda scelta in caso di vicini sgradevoli o noiosi. Mafalda Di Savoia [1902 - 1944] parlò quasi esclusivamente con Adolf Hitler [1889 - 1945] il 4 maggio 1938 a un famoso pranzo a corte; lui conosceva solo il tedesco e la principessa fu ospite cortese, ignara della sorte che l'aspettava a Buchenwald. Forse avrebbe preferito, lei, quel giorno, poter scambiare qualche parola anche con un interlocutore seduto di fronte. Ma il tavolo, purtroppo, era apparecchiato su un unico lato.

UNA STORIA DELLE BUONE MANIERE

1 luglio 2016

Ogni mese viene pubblicato, in Italia, un libro che tratta di buone maniere. Quasi sempre, uno "copia" l'altro. Naturalmente, tutti sanno o credono di sapere che cosa sia un "galateo" eppure, nonostante si tratti di suggerimenti generalmente ripetuti, capire se il testo che stiamo consultando contiene indicazioni utili, indispensabili o dannose non è sempre facile.

Un bel libro di Gabriella Turnaturi, "Signore e signori d'Italia" Una storia delle buone maniere, Feltrinelli, svela con serena ironia e rigore di analisi l'incidenza sociologica e il valore storico dei precetti di comportamento, aiutandoci a distinguere (con le nostre gambe) il "giusto" tra sacralità rituali, persistenza dei luoghi comuni e necessità di apparenza. 

Senza nulla disprezzare, passeggiando tra le indicazioni di buon comportamento di fine ottocento (più di cento titoli degni di menzione in prima edizione tra il 1871 e la grande guerra; dal "Codice delle persone oneste e civili" a "L'arte di convitare spiegata al popolo",  a "Il giovanetto per bene: trattatello razionale di buona creanza"), del ventennio, del secondo dopoguerra e contemporanee, l'autrice rivela la banalità del reale, finendo per farci leggere ogni precetto con scientifico disincanto.

I galatei, "porto sicuro in cui rifugiarsi (...) quando tutto sembra permesso e quindi tutto diventa impossibile, perché non si sa più come comportarsi", che con le loro norme rassicuranti possono "fungere da ansiolitici", rispecchiano la storia del paese; ciascuno "rimanda a quello precedente e legittima la propria autorità appellandosi all'autorità di un altro manuale di buone maniere. Accade così che si trovino, pur col passare degli anni, norme e modelli come congelati nel tempo".

E ogni genere di Galateo in centocinquant'anni ("del contadino", "popolare", "delle educande", "del giovinetto convittore", "del seminarista", "proposto da un nonno ai suoi nipoti", "europeo", "del matrimonio", "dell'invito", "della tavola", "del III millennio", "del fund raising", "delle signorine", "della fanciulla", "morale e civile") nasce e muore nella paura di non riassumere una precedente norma cogente, fino a volerci far credere, nel 2016, che indossare scarpe marroni dopo le ore 18 sia un errore imperdonabile.

Così, con il ricorso mediaticamente ossessivo a "esperti" veri o presunti, la società italiana continua a sperimentare un provincialismo inemendabile, ostinandosi ad ignorare che, mutatis mutandis, "Il saper vivere consiste nel sentire quasi istintivamente, cioè per rapido e inusitato esercizio del buon senso, l'atmosfera in cui siamo capitati e saper subito acclimatarsi. E in un luogo essere affatto alla buona, in un altro tenerci a livello delle più squisite maniere" (Giovanni Rajberti, ahinoi, nel 1851).

 

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