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PRESENTAZIONI

4 novembre 2016

"L'estremo piacere che proviamo nel parlare di noi stessi deve farci temere di non darne affatto a chi ci ascolta" (François de La Rochefoucauld, 1613-1680), a partire dal momento in cui ci presentiamo: nel farlo è indispensabile imporre al nostro ego di impiegare il minor numero possibile di parole. 

Altrettanto, se una terza persona assume il compito di presentare Caio a Sempronio è essenziale che non stia lì a esagerarne capacità o virtù. Non esiste una formula magica per essere disinvolti, ma pur nella molteplicità degli approcci teorici alcune regole possono essere d'aiuto. 

PRESENTARE QUALCUNO A QUALCUN ALTRO. Chi è meno importante deve essere presentato a chi è più importante, così come i signori vengono presentati alle signore (non è difficile, basta ricordarsi di rivolgere la parola per primo al più importante tra i due soggetti: "Maria, ti presento Giuseppe"). Il sesso non conta se le persone che si incontrano sono titolari di cariche: sarà la Signora Sindaco(a) a venire presentata al Signor Primo Ministro, non il contrario. La presentazione può essere introdotta da una breve formuletta, tipo: "Vi conoscete?", "Posso presentarvi?", "Siete già stati presentati?". Obbligatorio scandire bene nomi e cognomi: poche cose disturbano quanto la storpiatura dei propri.

SE CI PRESENTIAMO DA SOLI, DI PERSONA. Non bisogna dire "piacere", "lietissimo" o frasi simili. Vanno bene "buongiorno" o "buonasera", e se si è tra giovani "ciao". Spetta al più importante tendere la mano. Se poi chi dovrebbe non lo fa (senza un motivo, cioè senza che al mancato gesto si sia voluto dare un senso; perfino la scortesia può essere giustificata se ha una ragione), siete di fronte a un cretino, e non c'è altro da dire.

PRESENTANDOCI PER TELEFONO. Non ci si fa "passare" da una segreteria. Il gesto - che cortese non è mai, a meno di non essere molto importanti e molto impegnati (davvero) - è seriamente inopportuno se si telefona a qualcuno più importante di noi. Sempre meglio chiamare direttamente specificando, dopo il nome e il cognome, la propria qualifica e la persona che sia sta cercando (buongiorno, sono Giuseppe Tubi, idraulico, sto cercando Filo Sganga). Bisogna evitare di premettere titoli di qualsiasi tipo al proprio nome, ma questo è vero anche di persona (sono il dottor De Paperis: MAI).  

ABITUDINI ALTRUI. Può capitare a buona ragione, in qualche caso, che non ci venga tesa la mano: i monaci buddisti non toccano le donne in pubblico, così come i musulmani di stretta osservanza; in questi (rari) casi ci si può trarre d'impaccio con un sorriso o persino un cenno del capo appena accennato. In caso di presentazioni con orientali è importante ricordare che tengono moltissimo allo scambio dei biglietti da visita; guardate il loro con attenzione e compiacimento e offrite il vostro, scusandovi molto se non ne avete a disposizione: chi avete di fronte potrebbe pensare che non lo ritenete abbastanza importante per ricevere qualcosa da voi.

UNO SPAZIO COMUNE. Immaginate la redazione di un giornale (o un altro open space qualsiasi) dove lavorano, insieme, ma ciascuna per proprio conto, molte persone. Una di loro entra nella grande stanza accompagnata da un ospite. Deve presentarlo ai colleghi o deve ignorarli? NON deve presentarlo. Eccezione: che i presenti siano pochissimi - due o tre - ovvero che qualcuno di loro abbia manifestato in altre occasioni interesse a conoscere l'ospite (in questo caso ci si regola per decidere se presentarlo a lui solo; dipende dagli spazi e dal momento).

DIO, LA BIBBIA E IL GIURAMENTO DI TRUMP

27 gennaio 2017

Di Massimo Sgrelli.

L’articolo II, sezione  1, 8° comma della Costituzione statunitense recita: “Prima di entrare in carica il Presidente dovrà fare il seguente giuramento o dichiarazione solenne: Giuro (o dichiaro) solennemente che adempirò con lealtà ai doveri di Presidente degli Stati Uniti e col massimo dell’impegno preserverò, proteggerò, e difenderò la Costituzione degli Stati Uniti" La frase Con l’aiuto di Dio è stata aggiunta da Barack Obama (come da altri in passato).

Nonostante il contrasto evidente tra il mondo valoriale del testo e quello auspicato dal neo Presidente, lo scorso 20 gennaio Donald Trump ha giurato anch’egli sulla Bibbia. 

Non è scritto da nessuna parte che il giuramento debba essere prestato sulla Bibbia: Roosevelt  giurò senza alcun testo, Adams su un libro di giurisprudenza che conteneva la costituzione, Lyndon Johnson su un messale cattolico.

Nel secondo giuramento di Obama del 2009, quello formalmente valido (il primo, per il quale era stata scelta la Bibbia di Lincoln, mai riusata fino a quel momento, fu ripetuto per un errore nella lettura della formula), non venne utilizzato alcun testo. All’inizio del secondo mandato, Obama ha giurato sulla Bibbia di famiglia di sua moglie. Ma siccome il 20 gennaio era domenica anche nel 2013 ha dovuto farlo due volte: la cerimonia pubblica sulla terrazza di Capitol Hill si è svolta il giorno successivo addirittura con due bibbie, quella di Lincoln e quella di Martin Luther King.

Alcuni presidenti, nel giurare, hanno lasciato la Bibbia aperta, su vari testi, altri chiusa. Durante la cerimonia può essere impartita una benedizione (con Obama è intervenuto il pastore battista di una chiesa vicina alla Casa Bianca). Il giorno seguente si svolge una cerimonia religiosa, nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo. Il giorno dell’insediamento è considerato festivo nel Distretto della Columbia (sostanzialmente per aumentare la partecipazione alla cerimonia e decongestionare il traffico).

Quali similitudini e quali differenze fra noi e loro?

Una coincidenza è assoluta: i due dettati costituzionali si possono addirittura sovrapporre quando dicono prima di entrare in carica (negli USA) o prima di assumere le sue funzioni (in Italia) il Presidente deve prestare giuramento.

Ma la formula prevista dall’art. 91 "Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la costituzione" si differenzia non poco da quella americana, dove si riscontra una maggiore fattualità, l’impegno ad una azione attiva, mentre la nostra impone piuttosto un’azione astensiva (rispettare e osservare la Costituzione, senza andare oltre). Questo dipende dalla diversa consistenza dei poteri che le due costituzioni attribuiscono ai rispettivi capi di Stato. L’americano è “comandante in capo”, il nostro è “garante”.

Ma la maggiore differenza, limitandoci alla cerimonia del giuramento, è chiaro, la fa la Bibbia.

Da noi sarebbe impossibile giurare su testi religiosi, attesa la laicità dello Stato. Come sono impensabili qualsiasi forma di benedizione della cerimonia da parte di un sacerdote, la celebrazione liturgica del giorno seguente e perfino l’ipotesi di una festività.

I motivi sono storici e culturali. La laicità dello Stato si è affermata, nel quadro civile, soltanto alla caduta degli assolutismi europei: il potere del Re era assunto per volontà di Dio e l’affermazione della laicità cancellava l’idea della divinizzazione regale. Per questo si tratta di un valore sentito in Europa e non in America. D’altronde spesso i coloni partivano perché perseguitati nella madrepatria come adepti di una religione non conformista, e nella nuova terra volevano poterla liberamente praticare.

Di qui una proliferazione di religioni animate da forti rivalità che la Costituzione del 1787 all’articolo 6, e il primo emendamento di quattro anni dopo pur sancendo la libertà di culto non riescono a contenere. Ciò ha generato una stretta contiguità ideologica di ciascun americano con il proprio credo. La netta separazione tra valori politici e religiosi acquisita in Europa negli USA  (dove, come è stato detto, Dio non è trascendente, ma piuttosto un compagno di strada, con il quale più che al futuro e all’aldilà si guarda qui e ora) non avrà mai presa.

Una ragione ulteriore per tutelare la religiosità verrà nel XX secolo: l’avvento del comunismo ateo e materialista, individuato non solo come avversario politico ed economico, ma anche spirituale e morale.

La fede degli statunitensi è alquanto semplificata: la bandiera a stelle e strisce viene esposta nelle chiese e l’iscrizione God sulla banconota da un dollaro incarna una specie di religione civile - somma di quelle individuali non importa quanto variegate - che “sacralizza” a tal punto la propria democrazia da considerarla luce del mondo e degna di esportazione.

Per un cittadino USA poter affermare il proprio credo è una irrinunciabile espressione di libertà. Anche per questo continuano nascere, lì, una quantità sorprendente di sette religiose che saturano gli spazi ideologici laici.

Per questo Trump ha giurato sulla Bibbia. Quale Presidente si sentirebbe, oggi, di eliminarla? In fondo, attribuisce anche una patina di verginità a chi vi si accosta, e soffonde un alone benefico, idoneo a mascherare anche qualche possibile macchia, passata o futura.

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