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CREDENDO SIA GIUSTO

29 gennaio 2018

I comportamenti sociali sono più spesso di quanto s'immagini condizionati dal dubbio: non siamo certi di sapere come si fa, e abbiamo paura di sembrare inadeguati. 

Ho un nuovo lavoro, sono stato promosso, ho cambiato città. Sarò in grado? Potrò comportarmi come prima? Andrà bene il modo in cui mi vesto? Domande di questo tipo preoccupano (o hanno preoccupato, influenzandone da allora il dire e il fare) uomini e donne anche di grande fama e successo.

Restare noi stessi è un buon modo di approcciare il mondo; con la voglia di imparare, per carità, ma prima di assumere un atteggiamento che non ci è proprio, è bene esser sicuri che (almeno) sia corretto. Ecco quattro cose troppo spesso ritenute giuste senza esserlo.

1) PRANZO, CENA E COLAZIONE. A Versailles centinaia di candele spostavano il ritmo della giornata. Il volgo, privo di luce artificiale, andava a dormire con il buio e si svegliava all’alba, quindi cenava alle 17, dopo aver fatto colazione alle 6 e terminato il pranzo alle 12. I nobili, avendo dormito molto più tardi, si svegliavano alcune ore dopo, e a mezzogiorno facevano “colazione”, non “pranzo”. Questo vezzo lessicale passò dalla nobiltà francese alla nobiltà diplomatica, quindi per imitazione dalla diplomazia alle altre burocrazie pubbliche. Non esiste alcun buon motivo per continuare a scimmiottare un vezzo settecentesco. Come sempre, è giusto chiamare le cose con il loro nome (chi ricorda il Ferrini di "Quelli della notte", che si chiedeva se fosse educato o no dire la parola "piedi"?): colazione, pranzo e cena.

2) ABUSO DI APPELLATIVO. Dare dell'"eccellenza" a un alto funzionario dello Stato è sbagliato; o meglio, sarebbe vietato proprio. Una legge del 1927 lo imponeva fino al grado odierno di Presidente di sezione della Corte di cassazione o di Generale di corpo d'armata. Ma il D.L.L. 406/45 ne stabilì l'abrogazione ("Il titolo di Eccellenza, attribuito con RD 16.XII.1927, n. 2210 e successive modificazioni e integrazioni, è abolito"). E' rimasto l'uso di chiamare eccellenza talvolta il Giudice, più spesso l'Ambasciatore, quasi sempre il Prefetto. Non si dovrebbe. Eppure l'abitudine era tanto radicata che nel 1996 il Ministro dell'Interno, Giorgio Napolitano, fu obbligato a disporre che (almeno) nelle lettere a propria firma l'appellativo di S.E. fosse riservato ai soli vescovi...

3) BACIAMANO SENZA SAPER CHE FARE. Va ancora per la maggiore in molti  ambienti, ma... Bisogna poterselo permettere, il che non vuol dire soltanto sapere "come" si fa (il minimo sindacale: niente baciamano all'aperto, su mani inguantate o alle ragazzine). Il ridicolo è un nemico sempre in agguato, e una stretta di mano va benissimo sempre. Naturalmente, ricordando che è il/la più importante a doverla tendere per prima/o.

4) L/T/V MAIUSCOLA. Fate vostra la lotta alle maiuscole nel corpo di una lettera o, peggio, inserite all'interno delle parole. Chi sa dire quale sia la ragione per la quale dovrebbe esser giusto volgere al maiuscolo la T di tu, la L di Lei, o addirittura la V di Voi? Maggior rispetto per chi riceve la lettera? "Gentile Presidente, nell'invitarLa a cena (anzi, a pranzo) Le rivolgo un deferente saluto" è più cortese di "Gentile Presidente, nell'invitarla le rivolgo un deferente saluto"? Sicuri? Perché non in grassetto, allora, il "lei", o sottolineato? Anzi, tutto maiuscolo. LUI, in gazzetta ufficiale, era scritto comunque così: DUCE.

COLF

26 marzo 2019

Il termine "colf" (acronimo di collaboratore-trice familiare) non ha avuto fortuna. Non è la parola - naturalmente - a essere sbagliata. Purtroppo, il senso che i pregiudizi hanno appiccicato al lavoro che il neologismo descrive ha un odore duro ad andar via.  

Nel frattempo nemmeno donna a ore o, peggio, "donna" tout-court vanno bene, e non solo per il fatto che il lavoro in casa non è più prerogativa femminile. Sconsigliabile qualsiasi riferimento al paese di provenienza. E' successo per davvero che alla domanda "Che lavoro fa sua moglie?" un Filippino abbia risposto: "La pilipina!". Ma detto fuori di battuta evidentemente non ha senso. Peraltro, negli ultimi anni il numero di collaboratori domestici italiani iscritti all'Inps è in aumento.

Dunque. Se ci sono bambini di mezzo va bene dire "tata" magari facendo seguire il nome di battesimo; ha il solo difetto di essere inadatto agli uomini. Circonlocuzioni come "la ragazza/signora ragazzo/signore che mi aiuta in casa", pur se lunghi sono utilizzabili. Unica altra soluzione - se si entra in quella confidenza che spesso regala una frequentazione assidua - è chiamarla/lo per nome.

Di persona, evidentemente, è corretto dare del lei, e del lei ricevere (impropri anche i nomi di battesimo seguiti dal "lei", a meno che la cosa sia reciproca), così come, più difficile ma non vietato, dare e ricevere del tu. Non dare del tu e avere del lei, insomma, a meno che la cosa non venga naturale e con empatia il che, seppur raramente, capita. Spesso ricevere del lei risulta ostico a chi magari è in Italia da poco e mastica male la lingua, ma se si è convinti che rispettare (con il cuore) chi lavora sia un obbligo basilare del vivere civile, allora non sarà difficile capire e farsi capire.

Capita (ancora) di vedere tate con livree e cuffiette, spesso tremendamente in imbarazzo. La cosa aveva il suo perché, mirando a evitare che nel corso della giornata gli abiti si sporcassero causando agli interessati disagio oltre al danno economico (e a limitare mise poco adeguate, come minigonne, jeans strappati e roba così). Diciamo che non è un caso se l'abitudine è passata di moda. 

Un'ultima cosa. Se capita (e capita) che i bambini abbiano con i collaboratori domestici atteggiamenti inaccettabili, devono essere ripresi anche con durezza, ma riflettendoci su: i piccoli, invariabilmente, imitano gli adulti...

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