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BON TON VEGAN

2 dicembre 2016

Raw, vegan, senza glutine, pescetariani: ospiti e padroni di casa si scontrano con una molteplicità di esigenze alimentari che vent’anni fa non esistevano, o comunque non avevano cittadinanza tra le preoccupazioni del bon ton, mentre oggi lo stress determinato dal desiderio di fare la cosa giusta ha di recente offerto spazio per una riflessione perfino al Washington Post. Come comportarsi? 

Se siamo attenti alle esigenze degli altri, il buon comportamento viene da sé. Diciamo che è importante studiare i menù. La nostra cultura alimentare (feste incluse) è ricchissima di piatti meravigliosi compatibili con la maggior parte delle esigenze.

Il problema è quello di raggiungere un equilibrio tra l’inedita sensibilità dedicata dal nuovo millennio all’alimentazione e la necessità di rispettare la tradizione. Perché è vero che le lenticchie sono tradizione, però senza zampone potrebbero andar bene lo stesso. Al contrario, se l’attenzione verso le bestie ci obbligasse a rinunciare a quei tortellini che in famiglia a Capodanno offriamo da sempre, forse, il danno morale finirebbe per essere maggiore del beneficio.

Un piccolo trucco? Non sottoporre gli invitati al consumo obbligato di tutte le portate del menu tradizionale. Offrire qualsiasi cosa con una parola convincente di possibile astensione è un regalo meraviglioso. E se la cugina a dieta detox mangerà solo l’insalata di rinforzo, pazienza.

Diverso è il discorso invitando pochi amici. In tal caso informarsi su gusti, preferenze, perfino psichiatriche idiosincrasie è oramai indispensabile. Ma può essere anche divertente, uno stimolo a cucinare cose nuove. D’altra parte, per l’ospite far presenti eventuali proprie allergie o prescrizioni religiose è un “obbligo” che il padrone di casa sarà sempre lieto di assecondare. Ancora dal punto di vista dell’ospite: vivi e lascia vivere; chi non è in grado, declini l’invito. Non mangi il pesce? Ti cucino altro apposta, ma tu non puoi rifiutarti di sedere con me che “mi alimento di carne morta”.

I menù alternativi? Ecco qualche idea, tratta dalle sole ricette tradizionali della vigilia.

Pescetariani: Cacciucco (Livorno); Vermicelli a vongole (Napoli); Pasta e broccoli in brodo di arzilla (Roma); Sarde a beccafico (Palermo); Baccalà come vi pare.

Pescetariani celiaci: Impepata di cozze (Bari); Riso nero con le seppie e Baccala mantecato con polenta (Venezia); Insalata di rinforzo (Napoli); Insalata di polpo e patate (Ancona); Ile flottante (diffusa).

Vegetariani: Zuppa alla Valpellinentze (Aosta); Culurgiones (Sardegna); Spätzle verdi (Trentino); Tortelli di zucca (Mantova); Parmigiana di cardi (Abruzzo).

Vegetariani celiaci: Risi e bisi (Lombardia); Fonduta (Piemonte e Valle d’Aosta); Qualsiasi frittata con le verdure; Ricotta e castagne (Amiata); Torta caprese (Campania); Ricciarelli (Siena).

Vegani: Pappa al pomodoro e Ribollita (Toscana); Pittule con il cavolfiore (Puglia, Campania, Calabria e Basilicata); Crostino con il cavolo nero (Maremma); Pizza di scarola (Napoli); Frutta secca mista.

Vegani celiaci: Fave e cicoria (Salento); Zuppa di ceci e castagne (Amiata); Fagioli all’uccelletto (Toscana); Carciofi alla giudia o alla romana (Roma); Insalata di arance e finocchi con olive nere (Sicilia).

 Washigton Post

Repubblica

DAI TELEGRAMMI DI CONDOGLIANZE AL FUNERALE

25 giugno 2015

Comportamento: dalle condoglianze al funerale.

Sono poche le dipartite che ci lasciano davvero un vuoto. Bisogna prenderne atto. serenamente.

Per tutti gli altri, i gesti necessari nel momento del pur sincero ma inevitabilmente breve rammarico si riducono a poco più di una formalità da sbrigare: quel che angoscia è innanzitutto l'umana preoccupazione di poter fare o dire le cose sbagliate. Devo mandare un telegramma? E come si scrive un telegramma di condoglianze? Posso pensare a un necrologio? Devo andare alla camera ardente? E al funerale? Posso? Devo? Perché, in caso di decesso, l'unico che di obblighi non ne ha più è, per l'appunto, lo scomparso. 

Lutto per il decesso di persona con la quale non si avevano in rapporti stretti.

Allora, appresa la notizia attraverso il passaparola (o il manifestino, che ancora nei paesi funziona), si può in ordine di personale impegno:

1) precipitarsi a casa del morto o in ospedale, se è successo lì;

2) telefonare;

3) scrivere;

4) assumere da amici comuni informazioni su camera ardente e funerale.

Evidentemente, la scelta dipende da quanto si era vicini al defunto o ai suoi congiunti e, di solito, viene naturale; insomma, se i rapporti non erano così stretti ci si limita al numero 4). 

In caso di morte di persona con cui si avevano rapporti stretti.

Ecco il da farsi.

1) Andare a casa. Se abbiamo deciso così, è perché proprio non pensavamo di poterne fare a meno, d'istinto. Il resto di solito viene da sé. Si può portare da mangiare (se si è in grande intimità e si ha ragione di credere che in famiglia nessuno abbia avuto modo di occuparsene), restare a dormire, aiutare a organizzare quel che serve, dalla scelta della bara alle pratiche per la sepoltura. Non c'è da vergognarsi o da stupirsi, a volte in una casa quando entra il dolore esce la ragione, e c'è bisogno di tutto, amore in primis. Evidentemente, nessun altro gesto (messaggi, telegrammi, necrologi) è necessario.

2) Telefonare. Sono sufficienti comunicazioni brevi, brevissime: “ti do un grande abbraccio”; “se hai bisogno di qualsiasi cosa”, cose così. Semmai più che parlare è giusto ascoltare, nel caso il chiamato abbia voglia di sfogarsi. Suggeriamo di evitare la parola “condoglianze” che fa tanto "Come è umano Lei...!" e questo vale anche per chi scrive.

3) Scrivere. Se si è amici, va bene anche un sms (non brevissimo e con parole sentite davvero).

 

Comunicare le condoglianze

Invece, chi aveva scarsa intimità con il defunto o non è troppo vicino ai parenti si sbrighi a fare un telegramma di condoglianze (è possibile anche per telefono). Testo semplice, anzi, essenziale: "Ti/Le sono vicino (con amicizia e affetto) in questo doloroso momento". Un telegramma partecipa al lutto senza impegno, eppure non per questo è meno efficace, ma se è già passato qualche giorno non va più bene. A quel punto sono ammessi solo un biglietto o una lettera: andrà aggiunto un ricordo o una riflessione personale sulla vita e sulla morte (tutto a gravissimo rischio di castronerie, come ben si comprende; ma a parziale consolazione va considerato che a chi riceve una lettera "in memoriam" solitamente va bene tutto).

Necrologio

Qualche precisazione sul necrologio. I congiunti stretti del compianto devono scegliere se farlo: è un semplice annuncio e per mille ragioni si può volerlo dare o meno. Gli altri  possono regolarsi come credono, ma sempre tenendo conto del fatto che, specie se non lo fanno coniuge e/o figli, sarebbe meglio, quasi a chiederne il consenso, informarli prima con discrezione (ci sono quotidiani, al sud, che accolgono i necrologi "sub iudice": se non partecipa la famiglia evitano la pubblicazione). I necrologi sono abbastanza costosi e poco “intimi”, tuttavia se fatti dagli amici e – più di frequente – dai colleghi di lavoro, di solito sono graditi. Scrivere un necrologio non è facile per il rischio di farsi prendere la mano. Da evitare panegirici, titoli onorifici e descrizioni di carriera.

Ed eccolo, il giorno del funerale. Prendere parte alla cosa "sana" qualsiasi mancanza precedente (cioé: anche se non si è stati alla camera ardente e non si è scritto né chiamato). Vietato arrivare in ritardo; lo noterebbero e commenterebbero in troppi. E poi, se si è in anticipo si fanno incontri, ci si saluta, ci si spoglia di ogni formalità, si ignorano vecchie ruggini e perfino può capitare di sentirsi migliori. Prima di sedersi è buona regola controllare se ci sono posti liberi nei primi banchi: capita a volte che, specie in chiese grandi, nessuno si avvicini per "non disturbare" e poi rimangano terribili ed evidenti vuoti accanto alla famiglia. I saluti ai famigliari si danno dopo la messa (ma chi è molto in anticipo può farlo anche prima). Il successivo corteo verso il cimitero e la tumulazione sono una cerimonia sostanzialmente privata, ma chi era considerato un vero amico dello scomparso si armi di pazienza: gli tocca.

Da ultimo, non fiori ma opere di bene. Non ce ne vogliano i fiorai (ai vivi, andrebbero mandati, molto più di quanto si faccia) ma sono uno spreco assurdo. Le opere di bene non danno visibilità, certo, ma una donazione (di qualsiasi cifra) vale dieci volte il costo di un cuscino o di una corona (dai 150 ai 500 euro, peraltro).

 

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