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CREDENDO SIA GIUSTO

12 gennaio 2021

I comportamenti degli uomini sono spesso insidiati dall'insicurezza: NON sono certo di sapere come si fa e QUINDI ho paura di sembrare INADEGUATO. Ho cambiato lavoro, salendo di grado, mutando ufficio e abbigliamento. Sarò in grado? Mi sono trasferito in un altro paese, e l'ambiente è tutto diverso. Potrò comportarmi come prima?

Domande di questo tipo preoccupano uomini e donne anche di grande fama e successo. Spesso capita che il ricorso a un comportamento maggiormente "formale" sembri un buon passo verso l'adeguatezza; così di solito aggiungiamo qualcosa al nostro stare con gli altri partendo dal presupposto che un "inchino" in più non possa mai far male, e dopo aver chiamato pranzo e cena il nostro desinare per una vita, con i colleghi del nuovo lavoro ci scopriamo a parlare di latte e biscotti alla PRIMA colazione...

Insomma, non avendo - spesso a buon titolo: ci sono un sacco di cose importanti DAVVERO di cui occuparsi - tempo sufficiente per chiedersi se sia (ancora) giusto questo o quel fare, e mancando in materia sensibilità e maestri, ci accolliamo il peso di un determinato comportamento "formale" anche quando si tratta di un atteggiamento RITENUTO corretto che giusto non è più (o non è stato mai...). Ecco quattro cose troppo spesso ritenute giuste senza esserlo. 

1) PRANZO, CENA E COLAZIONE. La forzatura dei termini prende origine dal costume aristocratico di levarsi molto tardi al mattino e fare molto tardi la sera: la colazione aveva così luogo a mezzodì, venendo a coincidere con il pranzo del volgo, mentre il pranzo si svolgeva intorno alle 18 (la cena degli altri). La cena cominciava a notte fonda, quando in campagna si dormiva da un pezzo. Non ci pare che esista alcun buon motivo per continuare a scimmiottare una perduta abitudine aristocratica. Lo facevano i nobili, lo hanno trasmesso alla società burocratico-amministrativa i diplomatici (che cent'anni fa erano in gran numero figli di nobiltà) e i funzionari di corte. Invece, come sempre è giusto chiamare le cose con il loro nome (chi ricorda il Ferrini di "Quelli della notte", che si chiedeva se fosse educato o no dire la parola PIEDI?): colazione, pranzo e cena.

2) ABUSO DI APPELLATIVO. Chiamare "eccellenza" un alto funzionario dello Stato è sbagliato. Un regio decreto del 1927 imponeva il titolo di eccellenza fino al grado odierno di Presidente di sezione della Corte di cassazione o di Generale di corpo d'armata, ma dopo la guerra un decreto luogotenenziale lo abolì. E' rimasto l'uso di chiamare eccellenza il Giudice, l'Ambasciatore e il Prefetto (che talvolta dimenticano - non sempre è facile correggere chi ci chiama - di ricordare l'inopportunità dell'appellativo...). Nel 1996 uno scritto del Ministro dell'Interno di allora, Giorgio Napolitano, impartì al riguardo disposizioni precise concernenti la stesura di lettere a propria firma indirizzate all'amministrazione: l'uso di S.E. andava diretto ai soli vescovi.

3) BACIAMANO SENZA SAPER CHE FARE. Pare ancora oggi il baciamano vada per la maggiore negli ambienti bene ed a loro lasciamo il gusto di un gesto complicato per quanto apparentemente semplice (bisogna poterselo permettere, il che non vuol dire SOLTANTO saper come si fa). Ma per cortesia: niente baciamano all'aperto o su mani inguantate o alle ragazzine. Il ridicolo è un nemico sempre in agguato...

4) L/T/V MAIUSCOLA. Fate vostra la lotta alle maiuscole nel corpo di una lettera o, peggio, inserite all'interno delle parole. Chi sa dire quale sia la ragione per la quale dovrebbe esser giusto volgere al maiuscolo la T di tu, la L di Lei, o addirittura la V di Voi? Maggior rispetto per chi riceve la lettera? "Gentile Presidente, nell'invitarLa a cena (anzi, a pranzo) Le rivolgo un deferente saluto" è più cortese di "Gentile Presidente, nell'invitarla le rivolgo un deferente saluto"!?!? Sicuri? Perché non tutto maiuscolo, allora, il LEI? Anzi, tutto scritto con un carattere più grande o in grassetto? Anzi, sottolineato... Sarebbe come sostenere che la preminenza di una bandiera in esposizione multipla si sostanzia nelle sue maggiori dimensioni rispetto alla seconda (o alla terza), anziché, semplicemente, nella valutazione della loro posizione relativa (la più importante sta a destra; al centro se sono tre e così via).

COLF

26 marzo 2019

Il termine "colf" (acronimo di collaboratore-trice familiare) non ha avuto fortuna. Non è la parola - naturalmente - a essere sbagliata. Purtroppo, il senso che i pregiudizi hanno appiccicato al lavoro che il neologismo descrive ha un odore duro ad andar via.  

Nel frattempo nemmeno donna a ore o, peggio, "donna" tout-court vanno bene, e non solo per il fatto che il lavoro in casa non è più prerogativa femminile. Sconsigliabile qualsiasi riferimento al paese di provenienza. E' successo per davvero che alla domanda "Che lavoro fa sua moglie?" un Filippino abbia risposto: "La pilipina!". Ma detto fuori di battuta evidentemente non ha senso. Peraltro, negli ultimi anni il numero di collaboratori domestici italiani iscritti all'Inps è in aumento.

Dunque. Se ci sono bambini di mezzo va bene dire "tata" magari facendo seguire il nome di battesimo; ha il solo difetto di essere inadatto agli uomini. Circonlocuzioni come "la ragazza/signora ragazzo/signore che mi aiuta in casa", pur se lunghi sono utilizzabili. Unica altra soluzione - se si entra in quella confidenza che spesso regala una frequentazione assidua - è chiamarla/lo per nome.

Di persona, evidentemente, è corretto dare del lei, e del lei ricevere (impropri anche i nomi di battesimo seguiti dal "lei", a meno che la cosa sia reciproca), così come, più difficile ma non vietato, dare e ricevere del tu. Non dare del tu e avere del lei, insomma, a meno che la cosa non venga naturale e con empatia il che, seppur raramente, capita. Spesso ricevere del lei risulta ostico a chi magari è in Italia da poco e mastica male la lingua, ma se si è convinti che rispettare (con il cuore) chi lavora sia un obbligo basilare del vivere civile, allora non sarà difficile capire e farsi capire.

Capita (ancora) di vedere tate con livree e cuffiette, spesso tremendamente in imbarazzo. La cosa aveva il suo perché, mirando a evitare che nel corso della giornata gli abiti si sporcassero causando agli interessati disagio oltre al danno economico (e a limitare mise poco adeguate, come minigonne, jeans strappati e roba così). Diciamo che non è un caso se l'abitudine è passata di moda. 

Un'ultima cosa. Se capita (e capita) che i bambini abbiano con i collaboratori domestici atteggiamenti inaccettabili, devono essere ripresi anche con durezza, ma riflettendoci su: i piccoli, invariabilmente, imitano gli adulti...

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