Matrimonio, Condoglianze, Festività - per non sbagliare vestito, regali, parole

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UNDERSTATEMENT

27 maggio 2016

Praticare il cosiddetto "low profile" nella vita privata è scelta personale, e al pari di ogni manifestazione del "sé" testimonia il nostro gusto - criticabile e al tempo stesso insindacabile - di vivere come ci pare. E' una fortuna dei nostri tempi poter indossare capelli lunghi o rasati, abiti di sartoria o felpe, sandali francescani o stivali cosacchi. Ma... 

Ma con le eccezioni fortunate degli artisti e dei possidenti, l'indipendenza dei comportamenti non può sempre essere praticata senza condizioni: la socialità - pur se col passare degli anni le convenzioni si sono allentate e diluite sempre più velocemente - impone qualche regola... 

A quali regole ci si deve riferire? Come si fa a sapere cosa è giusto e quando? La risposta naturalmente non esiste: dipende dai contesti. Però alcune linee di ispirazione del comportamento si possono indicare. Prima, è però necessario ricordare quattro indizi che suggeriscono le tendenze di sviluppo del mondo pubblico globale.

1) L'ipertrofia del "terziario avanzato" sta determinando una selezione sempre maggiore degli ambiti nei quali viene prodotta la ricchezza, ampliando il numero dei campi ben oltre quello - finora ultraremunerativo e ancora "ingessato" - della Finanza.

2) L'accessibilità alle nuove professioni (e-commerce eccetera) è larga e democratica: ancora in Italia non così tanto ma auspicabilmente per poco; complici anche i nuovi modi di diventare produttivamente vincenti in attività vecchie (perfino manifatturiere), il binomio danaro/successo non è più necessariamente legato alle feste in smoking.

3) Se il binomio denaro/successo ha la faccia di Bill Gates (per citare un anziano moderato), difficilmente le coordinate del giusto e dello sbagliato nell'offerta di qualsiasi pubblica immagine potranno continuare a lungo a rimanere quelle della Regina Elisabetta (per citare un soggetto protocollarmente insindacabile).

4) Nel mondo del lavoro vincente (ovvero l'ambito dove si detemina il successo economico che produce l'immagine positiva dalla quale i media velocemente fanno scaturire - spesso involontariamente -  i prossimi modelli di comportamento) al centro sta il GRUPPO, non il singolo.

Allora, premesso che il lavoro nobilita e se è vincente fa tendenza; considerato quanta parte del successo si deve agli spazi di collaborazione; valutati i mezzi di espressione formale come poderosi indicatori del rapporto con il mondo, ecco che alcune (vecchie) abitudini risultano desuete anche dal punto di vista della loro inopportunità "economica"...

A) Biglietti da visita. Se alcuni top manager fanno stampare il proprio con il NOME più grande del cognome e nessun riferimento all'incarico rivestito ma soltanto gli indirizzi utili per il contatto e il nome dell'azienda, magari il vecchio caro Cav. Dott. prima di nome e cognome potrebbe cominciare a esser condiderato stantio, no?

B) Luoghi di lavoro. Se in aziende da milioni di fatturato anche i responsabili siedono in open space per (con)dividere informazioni/emozioni, magari le stanze da megadirettorigalattici (con o senza i ficus e le presunte poltrone in pelle umana) davvero val la pena di non considerale più neanche ipotizzabili.

C) Convivialità. Non sempre è possibile che pranzo e cena - NON colazione e pranzo - siano sedute soltanto se si è in pochi e cucinate da sé, magari perfino senza personale di servizio al tavolo (così si fa, ormai, "dove si puote ciò che si vuole"), ma farsi servire alla francese da servitù in livrea  proprio no, eh...

D) Sobrietà. Poco di tutto (non niente: a volte serve...). Dalle spese per alberghi alle auto di servizio; dalle prime classi in tratte brevi alla scelta dei ristoranti. Insomma, nella gestione ordinaria, salvo rare eccezioni,  bisognerebbe spendere ogni volta quel che può permettersi l'azienda per ciascun membro del gruppo. Non è egualitarismo pauperistico; produce risultati...

IL LAVORO OVUNQUE

10 giugno 2016

Lo smartphone è "hegeliano": esiste, quindi è vero, quindi è bello. Anche sul lavoro, naturalmente. Anche con la casella di posta sempre accesa, purtroppo.

Ma per evitare che sia lui a usare noi e non il contrario, qualche paletto va messo. Non si tratta di bon ton, è buon senso (il secondo, non a caso, fonte principale, quasi unica, del primo).

1) Fatte salve le comunicazioni provenienti da fusi orari differenti, è disdicevole usare diavolerie elettroniche a scopo non ludico nei fine settimana e di notte (chi lo fa, è giusto che non si aspetti risposta fino al lunedì o al giorno successivo).

2) Per le informazioni “minori” (cioè quelle che le abitudini di ieri delegavano a una telefonata) meglio ormai whatsapp di un sms: se il messaggio è stato ricevuto o no, si vede...

3) Whatsapp viene usato proficuamente per lavorare - generalmente tra pari grado ma se sono intelligenti e benvoluti pure dai capi - in gruppi anche temporanei quando serve per scambiarsi notizie in tempo reale: tutto perfetto purché la base sia volontaria (e comunque non durante le vacanze).

4) I social dal lavoro - dipendente, è chiaro; del proprio negozio ciascuno fa quel che vuole quando vuole - dovrebbero stare fuori: fotografie e commenti vanno bene per il privato (forse perfino per l’intimo, dipende dai gusti) ma per la professione no, e se qualche sciagurato posta questioni d'ufficio che adombrano una parte attiva dei possibili lettori va ignorato.

5) Andrebbero riservati alle mail gli argomenti di maggior spessore, quelli che per intenderci implicano la lettura di un documento e una risposta articolata. Mandare per posta elettronica la variazione di un orario d’appuntamento è criminogeno.

6) Una mail inviata a più di due indirizzi (tanto per avere un punto di riferimento, quando i riceventi sono oltre i dieci non è raro che il client butti tutto in spam) può non avere risposta, anche se rimane cortese un cenno di avvenuta lettura.

7) Un cellulare - diversamente dal fisso (attrezzo in via di estinzione come gli elenchi del telefono) - si può chiamare sempre: chi non vuole essere disturbato lo spenga.

8) Fuori dall'orario di lavoro il chiamante può richiamare solo in casi vitali; il ricevente richiama appena può.

9) Flessibilità, naturalmente: notizie fondamentali, a qualsiasi ora e con qualsiasi mezzo. Ma che lo siano davvero, e per entrambi.

10) Un'ultima cosa (rubata ad altro post): il numero di un cellulare va salvaguardato; dovrebbe venire offerto e non domandato e, naturalmente, deve essere scambiato di persona: se qualcuno che possiede il vostro lo passa ad altri - senza avvertire, peggio - sbaglia.

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