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COME COMPORTARSI SOTTO L'OMBRELLONE

11 luglio 2019

Ricordarlo rientra tra le affermazioni politicamente scorrette, ma il mare d'estate è spesso tollerabile solo guardato da lontano: carni stanche senza protezione, carni toniche da esibizione, chiavi della macchina nelle mutande, palloni vaganti, gironi di racchettoni a eliminazione...  

Non c’è molto da fare (anche se su alcune spiagge in concessione cominciano a circolare regolamenti da lager e fa tristezza: sarebbe bene ci si pensasse da noi, a limitarci). Eppure, comportarsi bene non è così difficile, anche in spiaggia, con la solita banale linea-guida: evitare di dar fastidio a chi ci sta accanto.

Abbigliamento. In spiaggia non si scende col solo costume. Almeno una maglietta, un pantaloncino, un pareo, servono. Il topless, sempre ammesso per carità, da tempo non è più di moda, almeno su spiagge affollate. 

Alimentari. Tavoli e sedie pieghevoli come fosse il pranzo della domenica meglio di no. Non solo per questioni di inquinamento: è leggenda che debbano passare tre ore prima del bagno, per carità, ma se si è mangito un bue...

Bambini. I piccoli regalano allegria e molto raramente danno fastidio. Ma quando capita, i genitori non dovrebbero trascurare il proprio ruolo solo perché è estate: i capricci con annessi strilli vanno limitati anche al mare.

Cellulari. Una chiacchierata al telefono va bene, ma gli squilli, specie se aggressivi no: piace a tutti addormentarsi sotto l'ombrellone... Inoltre, i propri fatti privati - a meno che si abbia una ragione per farli ascoltare - sarebbe bene restassero tali.

Giochi. Racchettoni e palloni certamente, ma in acqua. Altrimenti, prima o poi qualcuno si becca la pallettata, e il rischio di trascendere con le parole è alto... Non potendo farne a meno, chiedere scusa in anticipo alla prima fila di ombrelloni.

Giornali. Attenzione ai quotidiani: salvo giornate particolarmente clementi il vento può costringere a ingaggiare battaglie per voltare pagina, con i conseguenti brandelli di carta sotto l'ombrellone del vicino. 

Ombra. In uno stabilimento, non affollare un ombrellone in numeri doppi rispetto ai consentiti. Consentito invece chiedere il permesso d'uso a chi sta andando via (non chiedere: "Ma verrete anche domani?"; il posto del giorno dopo va offerto, non domandato).

Rifiuti. Vanno raccolti in un unico recipiente nel corso della giornata e poi gettati negli appositi contenitori. Seppellirli sotto la sabbia, compresi i mozziconi di sigaretta (sapete quanto impiega un filtro a essere smaltito?), è improponibile come mettersi le dita nel naso.

Vucumprà (il politicamente corretto del lessico importa molto meno della sostanza). Se si ha intenzione di acquistare nulla, basta un cortese rifiuto. E' fortemente sconveniente iniziare una faticosa trattativa per poi non comprare; farlo per presa in giro è irrimediabilmente volgare.

È TORNATO IL PRESIDENTE?

10 aprile 2018

"Riesco a dirle di chiamarmi Ministra?". La satira coglie sempre la direzione delle cose. Nelle feroci imitazioni di Valeria Fedeli, Ministra (o Ministro?) dell'Istruzione, Maurizio Crozza ci pone implicitamente una domanda: ha senso preoccuparsi delle differenze di genere nel linguaggio comune? 

Di certo, tra le modificazioni proposte alla lingua italiana da inglesismi, cyberlinguaggi e politically correct, la declinazione al femminile delle cariche pubbliche è una delle più evidenti e controverse: Sindaca, Assessora, Ministra, Consigliera... Ha senso (pre)occuparsene? Secondo noi sì, ne ha.

Ne ha non dal punto di vista lingustico, evidentemente. Anzi, presa da quel lato la discussione è surreale: "Perché autista e non autisto, allora?". Perché nessun autista vede nella declinazione al maschile dell'attività che svolge il segno della propria emancipazione...

Resta da capire la ragione per la quale si possa dare alla Madre di Dio l'appellativo di "Avvocata" (nostra) mentre in qualche Tribunale di provincia continua a essere consuetudinaria l'ironia Signora Avvocato/Avvocatessa, accompagnata da gran darsi di gomito. Ma forse questo, come si soleva dire, "prova troppo".

In mancanza di "normativa" la diatriba non può che dipanarsi intorno alla volontà del soggetto ("soggetta" no, eh) assurto a una carica qualsiasi da sempre declinata al maschile, che deve poter scegliere come chiamare se stessa. "Il Presidente", "La Presidente". E La Presidenta (come in Argentina)?

Alla Camera Dei deputati la carta intestata della carica amministrativa apicale recita "La Segretaria Generale", mentre quella della sua omologa al Senato non è mai cambiata, era e rimane "Il Segretario Generale". "La Segretario Generale" per entrambe probabilmente avrebbe potuto rappresentare una buona soluzione.

Ora, è vero che l'informazione secondo la quale Laura Boldrini pretendesse di essere chiamata "Presidentessa" è un fake, ma se avesse voluto, sarebbe stato giusto? Forse sì, perché del proprio appellativo la Presidente della Camera aveva dal primo giorno fatto una questione di principio.

La neonata legislatura, comunque sia, è partita nel senso della discontinuità. Maria Elisabetta Alberti Casellati si farà chiamare: "Signor Presidente". La domanda è: cinque anni con "La Presidente" (della Camera) sono entrati nel linguaggio comune tanto da aver reso desueto il maschile? Perché con "Ministro/a" sta (purtroppo) succedendo... 

Vedremo. Per ora, nemmeno l'Accademia della Crusca se l'è sentita di sposare la causa della presunta illiceità dei neologismi cacofonici, e se da un lato ciascuno deve essere libero di farsi chiamare come crede, è anche vero che interpretare la grammatica come battaglia politica forse non aiuta né la politica né l'Italiano.

Come la pensiamo al riguardo sta scritto qui. Non può essere il linguaggio a cambiare le cose, devono essere le cose a cambiare il linguaggio. Rimane il rammarico di constatare che in Italia un po' tutti siamo tentati di risolvere i problemi come quando la Nazionale non segna: basta che i giocatori cantino l'inno.

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